lunedì 25 gennaio 2016

Da quando non ho te

SINCE I DON'T HAVE YOU

I don't have plans and schemes
And I don't have hopes and dreams
I, I, I don't have anything
Since I don't have you

And I don't have fond desires
And I don't have happy hours
I don't have anything
Since I don't have you

No, non si tratta di una storia d’amore.

Il 3 ottobre 2015 il mio papà è morto. Quanto mi fa ancora male pronunciare questa frase: “è morto”. Pensavo che l’avrei detta, non so, almeno tra vent'anni. E invece no, mi tocca dirlo, con tanta fatica, a mascelle serrate, nel fiore della mia esistenza, a 26 anni, con una casa acquistata 3 mesi prima, un ragazzo fantastico e amiche e amici intorno a me.

Non riesco nemmeno io a capire come mi senta. Dire che è stato uno shock è dir poco. L'uomo che credevo invincibile e che, nonostante i suoi 68 anni, mi seminava con una naturale facilità durante una camminata in montagna, l’uomo che cuoceva sotto il sole del mezzogiorno senza fare una piega per tagliare l’erba del giardino del suo amato negozio, la sua vita da più di 40 anni, mi ha lasciata. Ci penso ogni giorno, e ogni giorno non riesco a darmi una spiegazione. In tre settimane un fottutissimo tumore all'intestino se l’è portato via. Senza preavviso. Mio papà? Mio papà con un malanno così incurabile? Non c’è nemmeno stata la possibilità di operarlo o di tentare con le chemio.

L’uomo che più credevo invincibile, l’uomo che ne aveva già viste tante in vita sua e che mai si è arreso, che non ha neanche mai permesso agli altri di farlo, sempre col sorriso sulle labbra, con uno spirito leggero, mai una lamentela, sempre soddisfatto delle sue scelte, che ha sempre perseguito con determinazione i suoi obiettivi … è morto.  Per parafrasare, mi è venuta a mancare una certezza. Una colonna.

Da quanto scrivo sembra che il nostro rapporto fosse strettissimo, che nutrissi nei suoi confronti una grande ammirazione. Non è sempre stato così purtroppo. Questo carattere molto forte ha permesso che tra di noi, e anche con i miei fratelli, non si instaurasse un legame affettuoso. Fino alla maggiore età ebbi soggezione di lui. Nonostante io sia un persona con la risposta pronta, ebbi sempre una sorta di timore nel rivolgermi a lui per chiedergli qualsiasi cosa, e ogni volta era un groppo in gola da sciogliere e lacrime da rispedire al mittente. Diciamocelo chiaramente, non andavamo d’accordo perché i nostri caratteri erano molto simili. Trovandoci in posizioni nettamente diverse dovevo infine rinunciare alla battaglia e obbedire. Finché, crescendo, mio papà capii di aver di fronte pane per i suoi denti. Da quel momento cominciò a tenermi più in considerazione e ad avere più fiducia in me. Anche io divenni un punto di riferimento per lui, soprattutto da quando presi in mano l’amministrazione del negozio, passato nelle mani di mio cugino e mio fratello qualche anno fa. Iniziai quindi a capire il perché di alcune sue scelte e atteggiamenti, da lì in poi il mio sguardo nei suoi confronti iniziò a cambiare e iniziai anche a concepirlo come un modello di vita, un esempio da seguire.

Lo fu fino alla fine dei suoi giorni, quando in ospedale, debilitato fino allo stremo, cercava di alzarsi autonomamente dal letto, con tutta la forza che gli era rimasta. Si preoccupava ancora di tutte le cose per le quali era solito preoccuparsi. Qualche giorno prima di morire mi chiamò sul lavoro per ricordarmi di “effettuare le letture dell’impianto fotovoltaico”, delle quali si occupava lui. Una voce che sembrava venire dall'aldilà. Scoppiai a piangere. Agghiacciante fu il momento in cui, poco dopo la sua morte, presi in mano il suo cellulare e vidi che l’ultimo accesso alla banca on-line era stato effettuato il giorno prima di lasciarci. Non mollò fino all'ultimo insomma. Come si può accettare tutto ciò? Perfino i suoi amici di sempre che lo vennero a trovare avevano le lacrime agli occhi mentre parlava. Erano in procinto di organizzare la corsa podistica del gruppo del quale mio papà era presidente. Mentre loro pensavano di sospendere la corsa, mio papà li esortò a proseguire, a non considerarlo parte dell’organizzazione perché era conscio del fatto che non ci sarebbe stato, e loro che continuavano a dire “ma no, vedrai che ci vedremo ancora”. E lui, da grande commerciante quale è stato: “in un attività bisogna sempre pensare al peggio”.  Come si può digerire una tale lucidità mentale, una tale accettazione della morte? È rimasta basita perfino l’oncologa, una dottoressa molto umana, che tra le lacrime ci spiegò come per mio papà non ci fosse più niente da fare. Quando tentò di annunciargli ciò (perché lui voleva sapere tutto, era impossibile solo pensare di raccontargli stupidaggini), la interruppe chiedendole, per stringere : “allora, quanto mi rimane?”. “Pochi mesi”. “Ah ok”.

Un carattere simile dicevo. “E ora  che non ci sei, è il vuoto ad ogni gradino”. Mi sono ritrovata ad assumere il suo ruolo, specialmente a casa con mia mamma. In casa sono rimasta solo io. Mio fratello e mia sorella, più grandi di me, sono sposati e con prole già da diversi anni. La situazione, a volte, era già pesante prima, rimasti in tre e con la mia vita che nel frattempo ha subìto molti cambiamenti. Una relazione molto lunga finita, l’inizio di un’altra, l’acquisto di una casa (esperienza impegnativa su vari livelli) … e poi questo.

Gestire un lutto, una madre alla quale bisogna insegnare tutto ciò che seguiva mio papà in casa, come bollette, banche, pagamenti, assicurazioni, automobili con annesso cambio gomme/pastiglie, farle tutte le volture/subentri del caso, una casa appena acquistata che aspetta solo di essere arredata e che in questi mesi difficili ho continuato a sistemare, anche in prima persona . Sapere di avere una casa che ti aspetta ma che non riesci a sistemare perché le tue energie sono risucchiate da altri doveri o perché dopo tutto quello che hai passato la voglia scema progressivamente, ti fa proprio perdere le speranze. È inutile che le persone intorno mi dicano “non avere fretta”, proprio loro che sono le prime a non portare pazienza. Non si tratta solo della fretta di vedere la casa in ordine, ma si tratta di un mio progetto di vita, una cosa per la quale ho fatto tante rinunce  e che non vedo mai finita. Per non parlare del lavoro. Col caratteraccio autoritario che mi ritrovo, il giorno dopo il funerale ero già operativa. E nel contempo mi ero già occupata della scelta della bara, del loculo, dei vestiti, perfino di comprare le tende in sala perché non c’erano, il giorno dopo il funerale appuntamento col nostro bancario di fiducia per la sistemazione del conto corrente dei miei genitori … e poi il lavoro.

Dicevo, mi sono trovata a prendere il suo posto. “Dall'alto” dei miei 26 anni tante cose insieme da gestire. Quasi completamente da sola. E ogni volta il mio pensiero va a lui. Va lui ogni qual volta una figlia sa di poter contare sull'aiuto di un padre per sistemare qualcosa in casa, sulla sua solidità di spirito quando sembra che tutto giri per il verso sbagliato. Perché oggettivamente parlando è così, tutto sta girando per il verso sbagliato da quel giorno. Non è pessimismo, ho sempre cercato di vedere il lato positivo delle situazioni, sono la classica amica e fidanzata forte e consolatrice, sempre disponibile e sempre pronta a tirare delle belle strigliate quando serve. Fin troppo. Ora non riesco nemmeno ad aiutare me stessa (il finale patetico/ad effetto era d’obbligo :-) ).

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