SINCE I DON'T HAVE YOU
I don't have plans and schemes
And I don't have hopes and dreams
I, I, I don't have anything
Since I don't have you
And I don't have fond desires
And I don't have happy hours
I don't have anything
Since I don't have you
And I don't have hopes and dreams
I, I, I don't have anything
Since I don't have you
And I don't have fond desires
And I don't have happy hours
I don't have anything
Since I don't have you
No, non si tratta di una storia d’amore.
Il 3 ottobre 2015 il mio papà è morto. Quanto mi fa ancora
male pronunciare questa frase: “è morto”. Pensavo che l’avrei detta, non so,
almeno tra vent'anni. E invece no, mi tocca dirlo, con tanta fatica, a mascelle
serrate, nel fiore della mia esistenza, a 26 anni, con una casa acquistata 3
mesi prima, un ragazzo fantastico e amiche e amici intorno a me.
Non riesco nemmeno io a capire come mi senta. Dire che è
stato uno shock è dir poco. L'uomo che credevo invincibile e che, nonostante
i suoi 68 anni, mi seminava con una naturale facilità durante una camminata in
montagna, l’uomo che cuoceva sotto il sole del mezzogiorno senza fare una
piega per tagliare l’erba del giardino del suo amato negozio, la sua vita da
più di 40 anni, mi ha lasciata. Ci penso ogni giorno, e ogni giorno non riesco a darmi una
spiegazione. In tre settimane un fottutissimo tumore all'intestino se l’è
portato via. Senza preavviso. Mio papà? Mio papà con un malanno così
incurabile? Non c’è nemmeno stata la possibilità di operarlo o di tentare con
le chemio.
L’uomo che più credevo invincibile, l’uomo che ne aveva già
viste tante in vita sua e che mai si è arreso, che non ha neanche mai permesso
agli altri di farlo, sempre col sorriso sulle labbra, con uno spirito leggero,
mai una lamentela, sempre soddisfatto delle sue scelte, che ha sempre
perseguito con determinazione i suoi obiettivi … è morto. Per parafrasare, mi è venuta a mancare una
certezza. Una colonna.
Da quanto scrivo sembra che il nostro rapporto fosse
strettissimo, che nutrissi nei suoi confronti una grande ammirazione. Non è
sempre stato così purtroppo. Questo carattere molto forte ha permesso che tra di
noi, e anche con i miei fratelli, non si instaurasse un legame affettuoso. Fino
alla maggiore età ebbi soggezione di lui. Nonostante io sia un persona con la
risposta pronta, ebbi sempre una sorta di timore nel rivolgermi a lui per
chiedergli qualsiasi cosa, e ogni volta era un groppo in gola da sciogliere e
lacrime da rispedire al mittente. Diciamocelo chiaramente, non andavamo
d’accordo perché i nostri caratteri erano molto simili. Trovandoci in posizioni
nettamente diverse dovevo infine rinunciare alla battaglia e obbedire. Finché,
crescendo, mio papà capii di aver di fronte pane per i suoi denti. Da quel
momento cominciò a tenermi più in considerazione e ad avere più fiducia in me.
Anche io divenni un punto di riferimento per lui, soprattutto da quando presi in mano l’amministrazione del negozio, passato nelle mani di mio cugino e
mio fratello qualche anno fa. Iniziai quindi a capire il perché di alcune sue
scelte e atteggiamenti, da lì in poi il mio sguardo nei suoi confronti iniziò a
cambiare e iniziai anche a concepirlo come un modello di vita, un esempio da
seguire.
Lo fu fino alla fine dei suoi giorni, quando in ospedale, debilitato
fino allo stremo, cercava di alzarsi autonomamente dal letto, con tutta la
forza che gli era rimasta. Si preoccupava ancora di tutte le cose per le quali
era solito preoccuparsi. Qualche giorno prima di morire mi chiamò sul lavoro
per ricordarmi di “effettuare le letture dell’impianto fotovoltaico”, delle
quali si occupava lui. Una voce che sembrava venire dall'aldilà. Scoppiai a piangere. Agghiacciante fu il momento in cui, poco dopo la sua morte, presi in
mano il suo cellulare e vidi che l’ultimo accesso alla banca on-line era stato
effettuato il giorno prima di lasciarci. Non mollò fino all'ultimo insomma. Come si può accettare tutto ciò? Perfino i suoi amici di sempre che lo vennero
a trovare avevano le lacrime agli occhi mentre parlava. Erano in procinto di
organizzare la corsa podistica del gruppo del quale mio papà era presidente.
Mentre loro pensavano di sospendere la corsa, mio papà li esortò a proseguire,
a non considerarlo parte dell’organizzazione perché era conscio del fatto che
non ci sarebbe stato, e loro che continuavano a dire “ma no, vedrai che ci
vedremo ancora”. E lui, da grande commerciante quale è stato: “in un attività
bisogna sempre pensare al peggio”. Come
si può digerire una tale lucidità mentale, una tale accettazione della morte? È
rimasta basita perfino l’oncologa, una dottoressa molto umana, che tra le
lacrime ci spiegò come per mio papà non ci fosse più niente da fare. Quando
tentò di annunciargli ciò (perché lui voleva sapere tutto, era impossibile solo
pensare di raccontargli stupidaggini), la interruppe chiedendole, per stringere
: “allora, quanto mi rimane?”. “Pochi mesi”. “Ah ok”.
Un carattere simile dicevo. “E ora che non ci sei, è il vuoto
ad ogni gradino”. Mi sono ritrovata ad assumere il suo ruolo, specialmente
a casa con mia mamma. In casa sono rimasta solo io. Mio fratello e mia sorella,
più grandi di me, sono sposati e con prole già da diversi anni. La situazione,
a volte, era già pesante prima, rimasti in tre e con la mia vita che nel
frattempo ha subìto molti cambiamenti. Una relazione molto lunga finita,
l’inizio di un’altra, l’acquisto di una casa (esperienza impegnativa su vari
livelli) … e poi questo.
Gestire un lutto, una madre alla quale bisogna insegnare tutto
ciò che seguiva mio papà in casa, come bollette, banche, pagamenti,
assicurazioni, automobili con annesso cambio gomme/pastiglie, farle tutte le
volture/subentri del caso, una casa appena acquistata che aspetta solo di
essere arredata e che in questi mesi difficili ho continuato a sistemare, anche
in prima persona . Sapere di avere una casa che ti aspetta ma che non riesci a
sistemare perché le tue energie sono risucchiate da altri doveri o perché dopo
tutto quello che hai passato la voglia scema progressivamente, ti fa proprio
perdere le speranze. È inutile che le persone intorno mi dicano “non avere
fretta”, proprio loro che sono le prime a non portare pazienza. Non si tratta
solo della fretta di vedere la casa in ordine, ma si tratta di un mio progetto
di vita, una cosa per la quale ho fatto tante rinunce e che non vedo mai finita. Per non parlare
del lavoro. Col caratteraccio autoritario che mi ritrovo, il giorno dopo il
funerale ero già operativa. E nel contempo mi ero già occupata della scelta
della bara, del loculo, dei vestiti, perfino di comprare le tende in sala
perché non c’erano, il giorno dopo il funerale appuntamento col nostro bancario
di fiducia per la sistemazione del conto corrente dei miei genitori … e poi il
lavoro.
Dicevo, mi sono trovata a prendere il suo posto. “Dall'alto”
dei miei 26 anni tante cose insieme da gestire. Quasi completamente da sola. E
ogni volta il mio pensiero va a lui. Va lui ogni qual volta una figlia sa di
poter contare sull'aiuto di un padre per sistemare qualcosa in casa, sulla sua
solidità di spirito quando sembra che tutto giri per il verso sbagliato. Perché
oggettivamente parlando è così, tutto sta girando per il verso sbagliato da quel
giorno. Non è pessimismo, ho sempre cercato di vedere il lato positivo delle situazioni, sono la classica amica e fidanzata forte e consolatrice, sempre disponibile
e sempre pronta a tirare delle belle strigliate quando serve. Fin troppo. Ora
non riesco nemmeno ad aiutare me stessa (il finale patetico/ad effetto era d’obbligo :-) ).